Al mondo esistono persone con doti o talenti particolari, destinate a un percorso specifico sin dall’infanzia. Alessandro D’Alatri è una di queste. Il regista si racconta agli allievi del Master in Cinema e Televisione in un incontro organizzato dall’Ufficio Cinema del Comune di Napoli: D’Alatri è nel capoluogo campano per preparare la prima serie dedicata al Commissario Ricciardi, dopo aver realizzato la seconda stagione dell’altro show tratto dai romanzi di Maurizio De Giovanni, “I bastardi di Pizzofalcone”: “Per il nostro Ricciardi abbiamo un budget incredibilmente inferiore rispetto a produzioni come ‘L’amica geniale’. E ricostruire la Napoli degli anni 30 è una bella scommessa. Ferve il lavoro della nostra squadra effetti speciali”.
D’Alatri ha cominciato davvero da piccolo: “Ero un bimbo timidissimo, arrossivo a qualsiasi complimento – racconta il regista romano –. Per fortuna la saggezza contadina dei miei genitori li spinse a smuovere la situazione, proponendomi come attore per una recita. Avevo otto anni. Lì fui notato da Emilio Marsili. Mi fece recitare ne Il ragazzo dagli occhi chiari. Poi venne Vittorio De Sica, che mi prese per ‘Il giardino dei Finzi Contini’”. La carriera di attore accompagnerà D’Alatri fino ai vent’anni. Da quel punto in poi, sempre con il cinema del destino, abbraccerà la professione di assistente costumista. Attore, assistente costumista, aiuto regista, producer, regista e autore di circa 100 spot televisivi: tra i più famosi, il fortunatissimo e premiatissimo “Una telefonata allunga la vita”, per Telecom.
La pubblicità la sa fare bene ma non lo gratifica: “Nel periodo in cui realizzavo pubblicità navigavo nell’oro. Firmavo contratti importanti dal lato economico, ma il mio corpo aveva l’esigenza del set”. E arrivò subito il David di Donatello come miglior regista esordiente per il film Americano rosso.
Oggi il rapporto con la Tv è mediato anche da altri canali di comunicazione: “Quando ci fu la messa in onda dei ‘Bastardi di Pizzofalcone’ accadde un fatto bello quanto inquietante. Il produttore mi chiamò e mi incitò a leggere i commenti in diretta sui social. Fortunatamente i feedback erano positivi, ma non nego che questo evento mi turbò (ride, ndr)”.
Che rapporto ha avuto con De Sica?
“De Sica è stato un grandissimo autore, ma è stato in primis una grandissima persona. E’ una parte importantissima di me, un filo conduttore. Mi ritrovai dentro la sua rievocazione dell’Italia degli anni 30, affiancato da una figura importante come Lino Capolicchio. Nella mia vita tutto sembra ritornare: comincio con il rappresentare gli anni 30 e ora, dopo i ‘Bastardi’, dovrò mettere in scena Ricciardi, che narra della Napoli di quegli anni. Un ricordo limpidissimo che ho di Vittorio De sica è il suo modo di dirigere gli attori. A volte lasciava la cinepresa per mostrare, fisicamente, agli attori come riprodurre ciò che aveva in mente. Cerco di portare tutte queste cose positive nel mio percorso artistico’’
Aver fatto l’attore l’ha aiutato nel dirigere gli attori?
“Certo. Fare l’attore è difficile: capita che in un giorno hai la possibilità di girare scene strazianti, dov’è richiesta una sofferenza forte, e il giorno stesso si presenta magari la possibilità di girare anche una scena leggera e allegra: ed ecco che devi calarti in entrambe senza un attimo di respiro. Quando si spengono le luci del set, l’attore spesso va a casa e non sa più chi è. E lì cominciano i problemi. È per questo che noi registi dobbiamo fungere anche da psicanalisti: a volte mi capita di ascoltare confessioni, problemi anche gravi, di attori o attrici. L’aver lavorato come attore, quindi, mi ha migliorato sicuramente sotto questo punto di vista”.
Che ne pensa della polemica di chi tiene i lavori nati in Netflix lontani dai premi per i film che escono in sala?
“Sono per la libertà di espressione. Io sono libero di esprimermi su una piattaforma come su un’altra. Netflix si è inserito con prepotenza nel mercato, ma democraticamente, rendendo il servizio accattivante e attraverso un’offerta vantaggiosa. Netflix da chi viene criticato? Da chi sta subendo i cambiamenti, quindi gli esercenti. Gli esercenti cosa hanno fatto per competere sul mercato? Nulla. Ci sono pochissime proiezioni mattutine, pochissima possibilità di vedere anche un film più di nicchia, causa distribuzione malsana, e un costo per niente basso dei biglietti. Ricordiamoci che la sala nasce con intenti popolari, non borghesi. La borghesia andava a teatro e, a oggi, un biglietto del cinema costa più di quello di uno spettacolo teatrale. Vi faccio un esempio, andai a vedere con mia figlia il docufilm su Orson Welles, costo 11 euro. Qualche tempo fa andai a teatro a godermi uno spettacolo, pagando un biglietto 7,50. E allora mi chiedo, è davvero Netflix il problema? O la mancanza di offerta da parte del mercato? Chi è che ha prodotto il film su Cucchi? Chi è che ha prodotto l’ultimo di Orson Welles, ricostruendo l’opera da una sceneggiatura abbandonata per oltre 40 anni? Netflix si sta imponendo in modo democratico. Criticarlo perché sta causando una morte indolore della sala è da folli. Pensiamo piuttosto ad adattarci al mercato, a rendere accattivante il grande schermo con offerte, abbonamenti e proiezioni mattutine. E infine fa piacere che il medium televisivo si sta evolvendo e costringe i grandi broadcaster, come la Rai, ad evolversi, a spostarsi su piattaforme streaming”.