Il Potere non è nel Palazzo. E’ ovunque. Un po’ come il Berlusconi di “Loro”, il nuovo film di Paolo Sorrentino, la cui prima parte “Loro 1” è uscita in sala il 24 aprile. Il potere è spettrale, onnipresente e disseminato, percepibile tra gli spazi bianchi della nostra vita, di cui non abbiamo del tutto il controllo. E’ una macchina in cui ciascuno ha un ruolo. La questione è se starci o meno. Se essere o non essere ‘loro’.
Il Berlusconi di Sorrentino (Toni Servillo) è tanto decentrato quanto pervasivo: compare quasi alla fine, eppure è in ogni discorso. Tutti i personaggi del film (in primis quello interpretato da Riccardo Scamarcio) aspirano ad essere come lui, facendo di tutto per riuscirci: vendersi e farsi usare, vendere e usare. “Loro 1” descrive una macchina che mangia e divora corpi, vite. A vuoto. Soldi e droga, sì, certo, ma non solo: ci sono innanzitutto frustrazioni e ambizioni da sfruttare e da corrispondere con la giusta offerta, in un inquietante mercato dei piaceri, e pertanto dei corpi. Ma in un macchinario che gira a vuoto nessuno è il vero protagonista, ciascuno è intercambiabile: tutto si riduce ad un anonimo ‘loro’. Ciò che conta è mantenere in vita un sistema che, da mezzo di presunta autorealizzazione, diventa finalità senza senso e votato all’autodistruzione.
Il macchinario teatrale, tanto festoso quanto diabolico, descritto da Sorrentino, non può che essere rappresentato con uno stile autocompiaciuto, auto-contemplativo, suntuoso: come il macchinario si ripiega su sé stesso, anche lo stile si afferma di continuo, fino al ripiegamento, alla viziosità. Lo stile di Sorrentino, spesso ingiustamente tacciato di esibizionismo (con lenti movimenti di macchina, carrelli a vuoto, zoom dilungati, tempi dilatati e accostamenti visivi che sfidano il senso comune) è uno stile maturo e cosciente che interroga ciò che racconta e se ne nutre. Lo stile è innamorato di sé tanto quanto il potere lo è di se stesso. Il potere è narcisista, come lo stesso Berlusconi. E Sorrentino racconta il potere con il linguaggio del potere. Da vero moderno.
Un vuoto angosciante riempie il film, ospite inquietante di una festa visiva e narrativa, facendo di “Loro 1” un implacabile discorso sull’assenza e la mancanza alla base di ogni aspirazione e ricerca ma anche di ogni violenza e sopraffazione. Di ogni potere. Che per questo non può che autodistruggersi lentamente, macinando vite e producendo quei ‘loro’ di cui sarebbe meglio dire ‘nessuno’.
Edoardo Esposito