Le eteree melodie di Novecento ne “La leggenda del pianista sull’oceano” (Tornatore, 1998) sono tra i protagoniste del documentario proposto agli allievi del Master in cinema e televisione nella prima lezione di “Storia emotiva del cinema”. La storia del cinema non parte però dagli oceani, bensì da metaforiche caverne dell’introspezione. “La caverna di Platone – spiega il docente, Arturo Lando – è la base costitutiva del cinema. Il cinema stesso porta altresì in scena quella caverna mitica che, con il suo mondo di ombre e rappresentazioni, coglie una particolare condizione esistenziale per l’individuo. Ciascuno di noi sente, tuttavia, il bisogno di uscire dalla caverna e di avvicinarsi all’essenza reale delle cose”. In riferimento alla natura più intima del cinema è bene quindi non parlare di artifici: un film fornisce sempre una chiave di verità allo spettatore. “Sussiste un rapporto indissolubile tra arte e tecnica – riprende a tal proposito Lando –, ma le immagini vogliono destrutturare la realtà e non occultarla. Il cinema nasce come ‘luna park dello sguardo’, ma l’asse d’interesse dei cineasti si sposterà progressivamente verso il significato nascosto delle cose”.
Durante la lezione viene concesso ampio spazio alla visione diretta di documentari e sequenze tratte da lungometraggi. Sono quindi di volta in volta Martin Scorsese, Clint Eastwood, Alfred Hitchcock e altri ancora a salire simbolicamente in cattedra: a turni alterni, raccontano del loro cinema o del cinema secondo loro. “Il nostro percorso – prosegue il professore – si svilupperà in parallelo tra nuovo e vecchio continente. Siamo tutti figli dell’America e del suo grande cinema d’evasione, ma per comprendere bene l’evoluzione di quest’arte dovremo tenere un piede in Europa e uno a Hollywood: non si scappa”.
Un’evoluzione che è soprattutto apertura alle emozioni: “Nel paradigma del cinema classico – conclude Lando – il personaggio incide sulla realtà così da riplasmarla. Manca però l’altra metà del cielo: il momento in cui l’azione entra in crisi. Come quando il protagonista non riesce ad agire o quando lo spettatore sa più dei personaggi ma non può comunicare loro alcunché. È in questa perdita di corrispondenza che si crea, forse per la prima volta, una vera identificazione emotiva tra spettatore in sala ed eroe sullo schermo. Siamo qui agli albori del cosiddetto cinema moderno”.