“Fare il regista significa innanzitutto avvicinarsi alla realtà quotidiana e cogliere la sua ricchezza che spesso nessuno vede. Significa farsi portavoce di una rinnovata sensibilità, nutrita dalle esperienze che riempiono la vita di ognuno. E il cinema, si sa, è sostanzialmente questo: una meravigliosa avventura di vita”. E’ con queste parole che Gianfranco Pannone, regista, docente e coordinatore dell’area cinema del Master in Cinema e Televisione, si presenta per la prima volta agli allievi in questa neonata officina dell’audiovisivo nell’Università Suor Orsola Benincasa. Pannone è un napoletano trapiantato a Roma, insegna da anni al Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà ed è autore di importanti documentari come Ebrei a Roma e il recente Sul Vulcano. Con le sue prime parole vuole smitizzare la regia, un mestiere basato su ciò che è umano e vicino a ognuno di noi anziché sull’ambizione per il potere creativo che molti desiderano.
“Spesso – continua Pannone – ci lasciamo affascinare dalla figura idealizzata del regista, qualcuno che porta avanti ostinatamente la propria visione, elevandosi al di sopra degli altri mestieri del cinema. Invece si tratta di un mestiere che non vuole imporsi al mondo: vuole al contrario confrontarsi di continuo con la realtà esterna, dalla quale il regista non può fare a meno di ricevere l’influsso. In altri termini è il regista che va incontro al mondo, non viceversa.” La figura ideale del regista secondo Pannone non va anteposta a quella della persona, “altrimenti c’è il rischio che la vita stessa venga fagocitata: il cinema non deve dominarla, anzi entrambi, vita e cinema, devono procedere parallelamente, sostenendosi a vicenda nella definizione di sempre nuovi punti di vista narrativi e personali”.
Il cinema italiano? Secondo Pannone fa ancora fatica a emergere, a reagire e a trovare una propria identità. Per questo il docente di regia del Master, forte della sua esperienza, incoraggia gli allievi a essere testimoni del proprio tempo, a calarsi emotivamente in una realtà che è difficile da raccontare e a non avere paura di inseguire uno stile personale. “Infatti – spiega Pannone – diversamente da quanto facevano i registi del Neorealismo, appena usciti dalla guerra mondiale, in Italia abbiamo difficoltà a confrontarci con i problemi della realtà esterna. Bisognerebbe più spesso tornare alla lezione di Cesare Zavattini, che prima di scrivere la sceneggiatura di un film conduceva attente ricerche sul campo e aveva poi il coraggio di raccontare ciò che spesso per uno spettatore è difficile da accettare. Intendo dire che assai spesso noi cineasti italiani camminiamo sulle macerie ma non le vediamo”.
A conclusione della sua autopresentazione, Pannone non può fare a meno di raccontare il suo rapporto con la città partenopea: “Napoli è una città difficile e vive nella complessità delle culture che l’hanno attraversata, ma al tempo stesso può essere un terreno fertile dove cogliere spunti interessanti per una nuova narrazione audiovisiva. Può essere un meraviglioso laboratorio per giovani registi”.