Siamo nella cittadina immaginaria di Avechot, situata tra le alpi del Bernina. E’ appena scomparsa un’adolescente sedicenne di nome Anna Lou. A indagare c’è l’agente speciale Vogel (Toni Servillo), un esperto investigatore che conosce bene, tra l’altro, l’arte della manipolazione mediatica. Saranno infatti i giornali e le televisioni a far ricadere le colpe di questa sparizione su un insegnante, Loris Martini (Alessio Boni). La verità si dimostrerà però più intricata di ciò che sembra.
Lo scrittore Donato Carrisi, dopo l’enorme successo dell’omonimo romanzo (Longanesi, 2015), esordisce come regista riscrivendo il suo libro per il grande schermo. Ne viene fuori un thriller classico, decisamente fedele alla trama del romanzo. “La ragazza nella nebbia” infatti non presenta trasgressioni particolari rispetto alle regole del genere e, nonostante ciò, riesce a essere assolutamente convincente. Ciò avviene anche grazie alla presenza di Jean Reno, nei panni del dottor Flores, ma soprattutto grazie all’interlocutore permanente di quest’ultimo, ovvero il personaggio costruito da Toni Servillo, che per la seconda volta si trova nelle vesti di poliziotto dopo “La ragazza del lago”, il bel film di Molaioli del 2007.
Quanto a Carrisi, si ispira a “I soliti sospetti” di Bryan Singer, costruendo un finale che possa seguire gli spettatori fuori dalla sala cinematografica, e che stravolga tutto ciò che può sembrare scontato. Il regista/scrittore indaga e approfondisce il tema del male in tutte le sue forme, ma la tematica più importante è infine quella della comunicazione. La verità in sé non ha alcun valore: non è altro che una costruzione mediatica funzionale al profitto. E’ così che il protagonista, Servillo/Vogel, non vede l’ora di trovare un colpevole contro cui scagliarsi per colpire le fantasie del pubblico. Lo spettacolo conta assai più della giustizia. “La ragazza nella nebbia” è un esperimento decisamente riuscito di letteratura del brivido trasformata in cinema.
Francesco Paolo Magliacane