Una patina cerulea e asettica avvolge “Il miracolo”, la misteriosa e visionaria serie targata Sky Atlantic, che è scritta e diretta da Niccolò Ammaniti e che suggeriamo a chi ci legge. Una statua della Madonna che piange sangue viene ritrovata ai nostri giorni nella casa di un boss della ’ndrangheta. L’Italia è in un momento difficile: è alle porte un referendum per l’uscita dall’Europa.
La concezione del rapporto essere umano-vita espresso nella serie può essere facilmente compresa nel rapporto che i personaggi e l’occhio della telecamera hanno rispetto alla statuetta. Il trattamento visivo della statuetta insanguinata è ambivalente: a ravvicinamenti morbosi ottenuti con primissimi piani, che vengono esaltati dalla violenza dell’immagine, si alternano prese di distanza che spesso riducono l’inquietante statuetta a una piccola presenza disturbante nello spazio; spesso è il punto di vista di un personaggio ad attutire la visione ma talvolta l’orribile e magnifico miracolo scandisce improvvisamente il racconto. Questo rapporto di curiosità e distanziamento, di avvicinamento e allontanamento, è lo stesso che i personaggi hanno nei confronti della vita e degli altri, in fondo di loro stessi: nessuno di loro affronta realmente ciò che ha sottomano, la vita. Nascosta, celata, spesso innominabile, la statuetta è quel mistero venuto da lontano, la Cosa, che riemerge dall’animo umano a rivelarne la verità di fondo, il suo destino, la sua precarietà e le sue aspirazioni, i suoi desideri, come spiega Zizek in un suo scritto su Tarkovskij.
Di qui il tempo del racconto, lento e sovrabbondante, interiore e metafisico, che tracima sfociando in una narrazione debole, meditativa e visivamente sofisticata, cifra e valore di questa serie. “Il miracolo” è infatti una novità nel nostro panorama seriale, guarda più al nostro cinema attuale (Sorrentino, Garrone, Amelio, per fare dei nomi), e a narrazioni contemporanee come “Twin Peaks”, rispetto alle narrazioni forti e incalzanti prodotte spesso proprio da Sky Atlantic (si pensi a “Gomorra”). La serie di Ammaniti guarda a un cinema del tempo interiore e dello sguardo, visionario ed estatico. E per questo va salutata con entusiasmo.
I suoi personaggi, ansiosi e girovaghi, intempestivi e paralizzati, rappresentano una condizione umana al tracollo ma anche desiderosa di ritrovare la speranza. Metafora di un ritmo esistenziale, le infinite lacrime della statua scandiscono l’accumulo di un divenire inesorabile, imprevedibile e baluginante.
Edoardo Esposito