Silvia Luzi e Luca Bellino presentano in anteprima agli allievi del Master “Il Cratere”, una storia di sogni e rimpianti in una isolata periferia di Napoli. Il film è stato presentato a Venezia e soprattutto ha vinto il Premio speciale della Giuria all’importante Festival di Tokyo, dove presidente dei giurati era un mostro sacro come Tommy Lee Jones. Il film è la storia di Sharon (Sharon Caroccia) e del padre Rosario (Rosario Caroccia) che Insieme rincorrono il sogno di portare al successo la ragazza come cantante neomelodica. È proprio il rapporto malato che si instaura fra i due durante questo percorso il vero fulcro dell’opera: attraverso inquadrature ravvicinate che pedinano i personaggi, il duo Luzi-Bellino riesce a farci vivere le pressioni e le aspettative che il padre riversa su di un’appena tredicenne Sharon, che diventa l’unica ancora di salvezza per un uomo desideroso di rivalsa sociale, ma oppressivo e sordo di fronte al dolore della figlia.
“Abbiamo scritto una storia inventata – dice Silvia Luzi -, una sceneggiatura totalmente di fantasia dove già c’era la forte idea di regia basata su inquadrature strette sui personaggi e quindi l’obiettivo di ripresa da 50 mm. Abbiamo pensato che fosse la chiave di lettura perfetta, considerando i luoghi chiusi e opprimenti dove spesso nasce la musica neomelodica. Volevamo raccontare un archetipo: i sogni dei padri che si riversano sui figli. Abbiamo scelto poi di raccontare tutto questo in un luogo specifico, quella enorme periferia disgregata, che si estende tra Napoli e Caserta, e che abbiamo voluto immaginare come un grande cratere”.
Un cratere come quello che si viene a formare tra Rosario e Sharon, che sono padre e figlia anche nella realtà. “Il desiderio di utilizzare come personaggi persone comuni, ‘vere’, e non attori professionisti era chiaro sin dall’inizio – dice Luca Bellino – ma è stato solo un caso fortuito quello di incontrare Sharon e Rosario. Camminavamo per strada, quando abbiamo sentito questa ragazzina cantare accanto una bancarella dove si vendevano pelouche, accompagnata dal padre. Abbiamo capito subito che sarebbero stati perfetti per raccontare la nostra storia. Il bello è che, nel frattempo, avevamo già il cast al completo. Di fronte a quell’incontro, insomma, abbiamo cambiato tutti i nostri piani”.
E infatti, contro ogni previsione, la forza scenica di Sharon e Rosario dinanzi alla telecamera è innegabile. Non risultando mai stucchevoli o costruiti, conquistano lo spettatore sin dalle prime battute, spalleggiati egregiamente dal resto del cast, rigorosamente formato da non professionisti. La “realtà” documentata dal film arriva al punto che anche la casa e i vestiti visti sullo schermo appartengono ai protagonisti. Non ci sono ambienti costruiti dagli scenografi.
“Eppure c’è voluto un lungo periodo di ‘formazione’ per gli attori, oltre ai tre mesi delle riprese – racconta ancora Bellino –. Rosario era ad esempio un padre delizioso e abbiamo dovuto tirar fuori un suo ‘lato oscuro’ per avvicinarlo alla storia che avevamo scritto. Sharon invece è una ragazza allegra ed estroversa e abbiamo dovuto ‘educarla’ a un ruolo di ragazzina ombrosa e piena di disagio”.
“Cosa ci fa ben sperare? – conclude Silvia Luzi – Il fatto che all’estero apprezzino enormemente il movimento di ‘cinema del reale’ esistente oggi in Italia. Sì, all’estero lo chiamano proprio ‘movimento’, anche se qui in Italia ce n’è a stento la percezione”.
Gianluca Maselli