“Siate ingordi di storie”: è una delle frasi chiave utilizzate dallo sceneggiatore Andrea Garello durante le sue lezioni al Master in cinema e televisione dell’Università Suor Orsola Benincasa. Garello (coautore di film come “Amnesia” di Gabriele Salvatores, “Smetto quando voglio” di Sidney Sibilia o il recente “Uno di famiglia”, di Alessio Maria Federici) vuole far comprendere innanzitutto quanto sia importante la ricerca continua di storie e ispirazioni, e soprattutto come queste si possano trovare anche nella nostra vita quotidiana, in esperienze da noi vissute e quindi da noi conosciute ancor meglio di altre. Di fondamentale importanza, come spiega lo sceneggiatore, è la narrazione di esperienze vissute direttamente sulla nostra pelle, di cui conosciamo le sensazioni, le ripercussioni e che quindi possiamo raccontare permettendo al lettore-spettatore di essere protagonista di queste stesse sensazioni, proprio come se fosse lui stesso ad averle vissute.
Parlando di sceneggiatura Garello spiega quanto sia importante che il lettore si “abbandoni al piacere della narrazione”, suggerisce quindi l’importanza d’immagini dal grande impatto visivo, che stuzzichino la curiosità del pubblico riuscendo a catturarne l’attenzione sin dal “primo atto” del film.
Va bene la “voce narrante” per introdurre una storia sullo schermo? “Molti dicono che la voce narrante sia sinonimo di mancanza di creatività – spiega Garello -, ma non è detto che non esitano eccezioni formidabili, come nel caso del film d’animazione ‘Coco’. Il film targato Pixar è un esempio per tutti. E’ infatti accuratamente studiato e rientra nei canoni di una sceneggiatura quasi perfetta. Vi sono presenti infatti temi che aiutano lo spettatore a immedesimarsi e che riescono a fare da ponte emotivo tra il protagonista e il pubblico. Parlo di temi come la musica, i problemi familiari (di cui tutti almeno una volta nella vita ci lamentiamo) e i sogni. Questi aiutano il percorso empatico che lo spettatore fa insieme col personaggio.
Di fondamentale importanza in qualsiasi film – spiega Garello – è il cosiddetto elemento di unicità, presente sia in “Coco” sia in altri film. Qualche esempio? “Indivisibili” di Edoardo De Angelis (copertina dell’articolo) la cui trama è tanto unica quanto geniale e soprattutto: mai vista prima. Infatti non si era mai vista la storia di due gemelle siamesi delle quali una ha voglia di separarsi dalla sorella, mentre l’altra non vorrebbe per niente.
Durante la lezione Garello spiega tutte le tecniche che rendono una sceneggiatura degna di questo nome, ovvero le tecniche da seguire per sviluppare quello che dapprincipio è una semplice idea. L’idea diventerà poi soggetto cinematografico, e quest’ultimo sarà sviluppato in una “scaletta”, cioè il susseguirsi di quelle che saranno poi le “scene” del film, riportate per esteso nella sceneggiatura, cioè lo “script” finale. “Essenziale – spiega lo sceneggiatore – usare frasi semplici e avere chiarezza di idee. Non bisogna spaventare il lettore con paroloni o frasi barocche, altrimenti si corre il rischio di annoiarlo”. Ovviamente il primo lettore di una sceneggiatura sarà un produttore.
Un’altra dote essenziale per uno sceneggiatore? “La costanza, la perseveranza. Il nostro lavoro non è sempre basato su progetti stimolanti. Molte volte dobbiamo mettere creatività in storie dove sembra non essercene e che non sono state per niente inventate da noi. Come si fa in questi casi? Ve lo spiego subito: si immette creatività anche nelle situazioni più insospettabili. A chi mi dice che un lavoro è solo una ‘marchetta’, io rispondo: ‘anche nelle marchette splende il sole’”.
Gaia De Angelis