Julien Temple, regista e sceneggiatore britannico, presenta il suo ultimo documentario London – The modern Babylon al Cityfilmfestival di Napoli.
Hai avuto a disposizione molto materiale d’archivio per questo documentario o la maggior parte delle scene le hai girate tu a Londra?
Il mio primo cut contava più di 9.000 ore di filmati d’archivio, il mio primo montaggio è stato di 80 ore. Alla fine del film non a caso ho fatto cenno alla natura folle del lavoro che ho svolto: la scena della scimmia che scava tra metri e metri di pellicola senza sapere cosa fa veramente mi ha ricordato me negli ultimi mesi. Nonostante questi numeri, non ho usato un metodo schematico: mi piace lavorare basandomi sull’improvvisazione e sull’empatia. Avere così tanto materiale è un lusso, ma può diventare anche oppressivo. Negli ultimi tempi ho avuto un esaurimento nervoso, non dormivo, montavo soltanto. Ho girato molte scene a Londra anche se è stato difficile: ogni 2 metri mi chiedevano 2000 sterline per riprendere.
Il tema dell’immigrazione è molto forte in questo documentario, così come negli altri tuoi lavori. Come mai?
L’immigrazione è la fonte diretta dell’ecletticità e della forza di una città. Londra, la mia moderna Babilonia, non è mai stata dei londinesi ma è un mix variegato di tutte le culture europee e non. Dopo la guerra, per esempio, fu invasa dalle popolazioni caraibiche che vissero per strada e le portarono cultura e valori nuovi, potrei dire colorati e musicali. Non ci sono mai stati i ghetti come in America: le parole d’ordine sono sempre state mescolanza e convivenza pacifica. Certo a Londra il cambiamento spesso può essere brutale, ma c’è un’energia particolare: sembra che tutto sia possibile.
Parlaci della tua esperienza con i Sex Pistols.
Il nostro è stato sempre un rapporto amicale, avevamo la stessa età quando abbiamo cominciato a lavorare assieme. Negli anni ’80 i discografici non sapevano nulla a proposito dei video musicali, quindi fortunatamente abbiamo avuto molta libertà di manovra. Oggi i video sono studiati nei minimi dettagli, alla base c’è il marketing e purtroppo la creatività è messa totalmente da parte.
Hai dei nuovi progetti in cantiere?
Sì, in realtà sto lavorando a tre documentari: uno sulla morte, uno sul primo dell’anno e uno su una zona sperduta dell’Irlanda. L’anno prossimo lavorerò ad un drama che racconta la storia dei Kings, una band musicale a cui sono molto affezionato.