Un venditore, forse poco più. Magari un truffatore. Certo non un buon marito o un imprenditore indefesso. Non un buon capo di governo. Il Berlusconi di Sorrentino, trasformista e grottesco, è l’inganno, il nascondimento, la seduzione fatti persona: “E’ vero, io non mi sono mai rivelato”, dice in “Loro 2”. Una maschera teatrale ghignante e patetica, che pretende ancora di avere qualcosa di dire, per di più ad un pubblico stanco e voltafaccia. Vecchio Epulone, Berlusconi rifugge alle domande e ai giudizi, non dà mai risposte, afferma soltanto se stesso e le sue presunte gesta eroiche. Eppure è tempo di bilanci e di giudizi. E Servillo lascia trasparire dal suo Berlusconi un dubbio e un’incertezza che si velano non appena vengono accennati. Pieghettato e mutevole, esagerato e poi muto, opaco: Berlusconi è egli stesso vittima della sua ambiguità e della sua inautenticità. Di se stesso.
Stesso discorso per i ‘loro’ già introdotti in “Loro 1”, che da protagonisti sono scivolati in un macchinario che li ha ben presto divorati e vomitati. Pensavano di diventare qualcuno e invece sono scesi in basso, ben sotto lo zero. Non dei “qualcuno” ma dei “nessuno”. Tutto torna.
Eppure esistono altri ‘loro’, dei ‘loro 2’, verrebbe a dire, che di Berlusconi sanno molto poco. Al massimo gli credono, lo votano, pur essendo più veri e reali di lui. “Lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”: così ne “La Grande Bellezza” Jep Gambardella definiva la condizione umana. E forse “Loro 2” non fa che descrivere quell’umanità che soffre e che nell’emergenza cerca salvezza. E’ la vita offesa nel terremoto dell’Aquila del 2009, illusa e sfruttata da Berlusconi per ottenere consenso elettorale. Il terremoto squarcia gli occhi e le orecchie dello spettatore, irrompe sullo schermo. Rottura necessaria, l’evento svela ciò che c’è dietro la patina del potere e il suo macchinario-fantoccio. Svela la pateticità e la colpevolezza di Berlusconi, le sue vittime.
La discesa del Cristo nel finale, di felliniana memoria, non è però solo il richiamo ad un messianismo, è anche un discorso sull’universalità dell’arte nel rappresentare quella condizione umana brillantemente descritta da Sorrentino. Non c’è un uomo della salvezza e persino Cristo, anche se immerso in una luce sublime carica di speranza, è un uomo sofferente disteso sulle macerie, privo perfino della sua Croce. C’è solo il reale a cui appellarsi, quel reale fatto di dolore e di speranza, di macerie e di esseri umani. Esseri umani che – stavolta sì – sono davvero qualcuno, loro.
Edoardo Esposito