La seconda giornata del ciclo 2016-17 del Master in Cinema e Televisione dell’Università Suor Orsola Benincasa è anche la prima del corso di Sceneggiatura di Andrea Garello, autore di fiction per la Tv (come la sitcom Disokkupati) e di film di successo come la commedia Smetto quando voglio. Il tema della lezione è “cosa significa essere uno sceneggiatore e fino a che punto può essere complesso scrivere per una produzione televisiva o cinematografica”. Garello, che ha alle spalle una carriera ventennale che spazia dalla sceneggiatura all’insegnamento (di questi tempi alla Holden di Torino e al Centro Sperimentale di Roma), si racconta con autoironia: “Ho studiato alla Holden nel 1994. Da allora ho scritto di tutto, per passione e per necessità. Cartoline comprese”.

garelloTra i lavori che hanno dato maggior soddisfazione allo sceneggiatore c’è invece Amnèsia, lungometraggio scritto a quattro mani con Gabriele Salvatores e candidato ai Nastri d’Argento nel 2002 per il premio al miglior soggetto. “Avevo 34 anni – racconta Garello – e scritto un solo film, il primo di Gabriele Muccino (Ecco fatto, ndr). Dopo un lavoro insieme su una pubblicità, Salvatores mi chiese di scrivere addirittura una sceneggiatura. Ero sbalordito. Solo dopo ho capito che voleva me perché gli piacevo come ‘personaggio’, con i capelli lunghi e il mio skateboard: vedeva in me una sua proiezione fantastica”. Fu difficile l’esperienza con Salvatores? “Certo l’onore comporta un onere: avvertii una grossa responsabilità, che si trasformò in una lunga gestazione del copione. Fu allora che mi resi conto di una regola d’oro di questo lavoro: nella sceneggiatura ogni parola ha un costo. Mentre scrivo devo badare sempre a quello che il produttore del film dovrà spendere per visualizzare sul serio quello che io sto scrivendo”.

Cosa vuol dire scrivere una sceneggiatura? E cosa cambia se si scrive su commissione? “Chi scrive per il cinema – spiega Garello – dev’essere innanzitutto un appassionato, avido di storie. Ma vedrete che l’ispirazione della scrittura dovrà poi confrontarsi con la realtà, con le reali possibilità della messa in scena. È per questo che lo sceneggiatore è chiamato a lavorare anche sul set: deve inventare qualcosa ogni volta che la realtà del set si oppone alle invenzioni predisposte dalla sceneggiatura iniziale”. Le condizioni dettate dallo show-business possono all’occorrenza trasformarsi in un’autentica dittatura, in grado di scoraggiare i professionisti con meno passione.

Francesco Paolo De Angelis